Ma che ce frega, ma che ce importa,
Se l’oste ar vino c’ha messo l’acqua,
E noi je dimo, e noi je famo,
C’hai messo l’acqua, e nun te pagamo
La discussione venuta alla ribalta in questi ultimi tempi in sede europea sulla produzione di vini dealcolati ricorda da vicino la figura dell’oste disonesto della nostra tradizione popolare, che allunga il vino con l’acqua per trarre maggior profitto dai suoi avventori. Allo stesso modo e per la stessa ragione, ovvero il profitto, esistono forze all’interno dell’Unione che premono per permettere la produzione di tali vini, amesso che vini si possano chiamare ancora dopo tale trattamento. La Coldiretti difatti, in un comunicato in cui esprime tutta la propria contrarietà al provvedimento, si pone proprio il suddetto quesito: “In questo modo viene permesso ancora di chiamare vino un prodotto in cui sono state del tutto compromesse le caratteristiche di naturalità – si legge –. Un inganno legalizzato, un grosso rischio e un precedente pericolosissimo che metterebbe fortemente a rischio l’identità del vino italiano e europeo, anche perché la definizione “naturale” e legale del vino vigente in Europa prevede il divieto di aggiungere acqua”.
L’attuale Politica Agricola Comunitaria vieta di sottoporre il vino alla dealcolizzazione ed all’aggiunta d’acqua ma resterà in vigore solamente fino al 2022. E dopo? Non si sa, i negoziati sono tuttora in corso. A premere in favore del paventato cambiamento di rotta sono alcuni paesi nordici, in cui il consumo di prodotti analcolici è esploso negli ultimi anni, ed alcuni grossi produttori, che ambiscono ad entrare nei mercati islamici, finora tabù per i loro prodotti.
Tuttavia il danno per i piccoli e medi produttori, che costituisce la maggiornaza in tutti i paesi di forte tradizione vinicola, sarebbe incalcolabile.
E non si parla solamente di danno economico: in Italia, ma anche negli altri paesi dell’Europa Mediterranea, il vino non è solamente un prodotto, ma costituisce un importante pilastro della socialità ed un importante elemento della tradizione: se i greci chiamavano il nostro paese Enotria, ovvero Terra del Vino, ben 7 secoli prima di Cristo, ci sarà pur stata una ragione.
Quando penso al vino, io vedo una famiglia che si riunisce a tavola per il pranzo della domenica, vedo i pensionati che giocano a tressette nel bar del paese in un pomeriggio d’estate, vedo le mille occasioni in cui un gruppo di amici si riunisce per condividere un momento lieto.
Già questi momenti ci sono stati, almeno temporaneamente, tolti dal COVID.
Il vino analcolico sarebbe veramente il colpo di grazia, l’ennesima burla crudele da parte di chi vede come unico fine un portafogli ogni giorno più gonfio.